I fiori e la pratica del Dhamma

Commento al verso 52 del Dhammapada: a cosa si accompagna la retta e saggia parola? Come si studia il Dhamma?

23 Agosto 2020

51.
Deludenti come un fiore bello
ma senza profumo
sono le parole sagge
senza retta azione.

52.
Come un fiore
dal delizioso profumo
è la parola saggia e amorevole
accompagnata dalla retta azione.

Buddha, Dhammapada, traduzione di Ajahn Munindo

Secondo il commentario di Buddhaghosa, il Buddha recitò questi versi in occasione della seguente storia: il re Pasenadi di Kosala, impressionato dal comportamento di un discepolo del Buddha, chiese di poter istruire nel Dhamma le sue due regine; a questo scopo fu assegnato il Venerabile Ānanda, che andò diverse volte ad insegnare. Quando il Buddha chiese come stesse andando, il Venerabile Ānanda rispose che, sebbene la regina Mallika stesse imparando seriamente il Dhamma, la regina Vasabhakhattiya non stava prestando la giusta attenzione. Udendo ciò, il Buddha disse che il Dhamma poteva essere di beneficio solo a coloro che lo imparavano seriamente con il dovuto rispetto e la giusta attenzione e poi praticavano diligentemente ciò che veniva insegnato.

Le parole sagge sono quindi le parole del Buddha, le parole del suo insegnamento, il Dhamma. La retta azione è mettere in pratica quegli insegnamenti in modo tale che diventino “vivi”, veramente parte di noi. Ci sono tre momenti nell’apprendimento del Dhamma: pariyatti, lo studio del Dhamma tramite l’ascolto o la lettura degli insegnamenti del Buddha o degli altri Nobili discepoli; patipatti, in cui ciò che si è studiato viene sperimentato e messo in azione nella pratica, sia essa la pratica formale (ad es. della meditazione seduta o camminata) che durante la vita di tutti i giorni; pativedha, quando, attraverso la pratica di ciò che si è studiato si ottengono delle intuizioni profonde che mostrano direttamente la verità. Sono tutti egualmente importanti: senza lo studio, non sapremmo come praticare; senza la pratica, non otterremmo le intuizioni profonde, i frutti della saggezza; senza questi frutti, magari piccoli ma ugualmente saporiti, probabilmente abbandoneremo lo studio e la pratica. E’ un meccanismo a spirale, il cui punto di partenza è la fiducia (o fede, saddha) iniziale negli insegnamenti, almeno quel tanto per cui si prova per un po’, e poi ottenere dalla pratica quei buoni risultati che ci motivano a praticare sempre più il Dhamma, per ottenere altri frutti e quindi applicarci sempre di più, in modo che la nostra piccola fiducia iniziale diventa sempre più grande fino al punto di smettere di essere fiducia e si trasforma in conoscenza diretta; è il processo di liberazione che porta al vedere le cose così come sono, al risveglio.

Nel “Discorso dell’esempio del serpente” (Alagaddupama Sutta, MN 22) il Buddha dà indicazioni di come studiare il Dhamma. Chi studia il Dhamma senza “esaminarne il significato con saggezza” , chi lo studia “per criticare gli altri e vincere nei dibattiti”, quindi in modo esclusivamente intellettuale, costoro “non fruiscono del bene in vista del quale hanno appreso l’insegnamento”, con il risultato che “gli insegnamenti, essendo appresi in modo sbagliato, procurano loro danno e sofferenza per molto tempo”. E’ proprio qui che il Buddha cita l’esempio del serpente, di chi lo afferra per la coda mettendosi a rischio di essere morso. Coloro invece che “avendo appreso l’insegnamento ne esaminano il significato con saggezza, pervengono alla comprensione più profonda” e così questi insegnamenti “porteranno loro benessere e felicità per un lungo tempo”. Costoro sono come quelli che afferrano il serpente per la testa, senza più nessun rischio di essere morsi.

E cosa succede dopo aver ben praticato? Il sutta continua fornendo l’esempio della zattera, in cui chiede se un uomo che usasse una zattera per attraversare un fiume, una volta sull’altra sponda dovesse poi continuare a portare la zattera sulle sue spalle, cosa ovviamente sconsiderata. Gli insegnamenti sono proprio come questa zattera, a cui non bisogna rimanere attaccati una volta che abbiano svolto il loro compito:

Allo stesso modo, monaci, ho insegnato il Dhamma paragonandolo ad una zattera, allo scopo di attraversare, non allo scopo di trattenerlo. Comprendendo il Dhamma come insegnato rispetto a una zattera, si dovrebbe lasciar andare anche gli insegnamenti del Dhamma, per non parlare di quelli errati, di non-Dhamma”.

“Discorso dell’esempio del serpente” (Alagaddupama Sutta, MN 22)

Ma quando si possono lasciar andare gli insegnamenti? Come la zattera, li possiamo lasciar andare nel momento in cui avremo attraversato il fiume. Una volta che avremo raggiunto la sicurezza della terra sull’altra riva, solo allora potremo lasciarli andare. È quello il momento in cui si potrà godere del “delizioso profumo” di quel fiore che avremo colto avendo ben praticato “la parola saggia e amorevole”!

Quello dell’esempio del serpente è un sutta, un insegnamento, bellissimo, profondo e utile, vale assolutamente la pena di leggerlo direttamente, ad esempio su Internet in italiano o in inglese nella traduzione di Nyanaponika Thera o nella traduzione di Thanissaro Bhikkhu. Il Dhammapada è invece disponibile sul sito del Monastero Santacittarama nella sezione degli e-book in italiano.

Nella foto, una ninfea del Giardino di Boboli a Firenze.

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