Buddha

Ep. 132 Introduzione al Buddhismo: la meditazione

Introduzione al Buddhismo: la meditazione. Il percorso di pratica per calmare e affinare la mente, per trovare la saggezza

Questa è la sesta puntata dell’introduzione al Buddhismo: la meditazione, la pratica contemplativa.

Precedenti puntate: 

  1. Descrizione della serie
  2. Vita del Buddha
  3. Insegnamenti fondamentali
  4. Il Buddhismo, cosa si intende per esso, come si è diffuso in diverse tradizioni
  5. Sofferenza e felicità

La meditazione

Se osserviamo una scimmia su un albero, vediamo come si agiti continuamente: salta da un ramo all’altro, si ferma un attimo per grattarsi e poi si tuffa su un ramo per trovare compagnia, rimane un attimo finché non vede del cibo e così si muoverà ancora, passando tutto il tempo in questo modo.

La mente non addestrata è proprio come quella scimmia, continuamente alla ricerca di stimoli, annoiata da quello che possiede già.  

Muovendosi in continuazione, la scimmia non potrà mai ammirare il cielo infinito sulla sua testa o mettere in prospettiva il mondo guardandolo dall’alto dell’albero, non potrà mai riposare serena cullata dalla brezza stando ferma senza fare o volere nulla. 

Il Buddha ci offre la via di uscita a questa stancante irrequietezza con un esempio, quello del carro per fuggire da un bosco infestato: 

«Risuona con una schiera di ninfe,
Ma è infestato da un gruppo di demoni! 
Questo boschetto è chiamato “Illusione”: 
Come si può scappare da esso?

“La retta via” è chiamato quel sentiero,
E “senza paura” è la sua destinazione. 
Il carro è chiamato “infallibile”,
Dotato di ruote di stati salutari. 

La coscienziosità è il sedile,
La consapevolezza è la fodera;
Il pilota lo chiamo Dhamma, l’insegnamento,
Con la retta visione che corre davanti.

Ogni uomo o donna 
Che dispone di un tale veicolo
Per mezzo di questo veicolo
Si è avvicinato al Nibbāna, all’estinzione.»

Accharāsutta, Ninfe, SN 1.46, traduzione da Bhikkhu Bodhi, testo in italiano, testo in inglese e Pāli

Consapevolezza 

Abbiamo quindi gli ingredienti della ricetta: aver visto che la vita può essere inutilmente piena di affanni e pericoli, essere coscienziosi, consapevoli, con la retta visione del Dharma. 

Il primo aspetto è la prima Nobile Verità, l’esistenza di dukkha, e la Retta Visione è proprio riconoscere la validità delle Quattro Nobili Verità come propria guida nella pratica spirituale. La coscienziosità, hirī, è la semplificazione della vita, evitare le azioni non virtuose − in questo contesto è quindi un richiamo a sīla, alla moralità. Ma andiamo a guardare con attenzione l’ultimo elemento, la consapevolezza. 

La consapevolezza è uno dei punti essenziali dell’insegnamento del Buddha; il corrispondente termine Pāli, sati, racchiude in sé molti aspetti, riassunti da Bhikkhu Analayo in questa definizione: 

«Una presenza apertamente ricettiva che consente una piena assunzione di informazioni, risultando in una qualità vigile della mente che facilita la chiarezza e il raccoglimento tramite il monitoraggio, nel momento presente e senza interferire, della ripercussione interna ed esterna di ciò che sta accadendo». 

“Mindfulness in Early Buddhism”, Bhikkhu Analayo 

Si osserva il mondo così com’è, nel qui e ora, permettendogli di risuonare in noi senza sforzo e senza bloccarlo, senza giudicarlo in nessun modo. Ma per arrivare a questo obiettivo sarà opportuno e necessario praticare la meditazione. 

Buddha in meditazione
Buddha in meditazione, 3°-5° secolo, Pakistan (antica regione del Gandhara), Metropolitan Museum of Arts

Meditare

Meditare vuol dire portare la mente nella consapevolezza, permettendogli di essere ricettiva alle intuizioni profonde che ci permettono di lasciar andare i pesi inutili, fino a raggiungere l’estinzione degli attaccamenti, delle avversioni, delle illusioni. Potremmo dire che la meditazione è consapevolezza attiva, l’aver posto l’intenzione di aprirci al mondo. 

Se osserviamo le statue del Buddha, vedremo che lo rappresentano sempre in uno stato di grande concentrazione e consapevolezza, qualunque ne sia la posa. 

Ed infatti il Beato nel Mettā sutta ci insegna che la meditazione può essere praticata in ogni postura, fermi o camminando, seduti o distesi, l’importante sarà essere esenti da torpore, sostenendo la pratica.

La meditazione nell’Ottuplice Sentiero

Nell’Ottuplice Sentiero vi sono due elementi che rimandano  alla meditazione: la Retta Consapevolezza (samma-sati) e la Retta Concentrazione (samma-samādhi). 

Di sati, la consapevolezza, abbiamo già detto. Il samādhi è la capacità di concentrazione, l’unificazione della mente su un singolo punto (ekaggatā). La mente è comunque sempre focalizzata su un oggetto per volta, ma normalmente si muove rapidamente da un oggetto all’altro cosa che non avviene nel samādhi.

Questi due aspetti, samādhi e sati, corrispondono a due diverse tipologie di meditazione. Il primo tipo si chiama samatha, lo stato in cui si fa riposare la  mente su un singolo oggetto, senza vagare; in questo modo il corpo e la mente raggiungono uno stato di calma e tranquillità. Si può così raggiungere il samādhi degli stati di calma concentrata, i jhāna

Il secondo tipo di meditazione è chiamato vipassanā,  in cui si indagano le  attività fisiche, mentale e i fenomeni che si presentano nel momento presente. Permette di sviluppare la visione profonda, gli stati intuitivi in cui è possibile fare esperienza diretta della mente e del mondo così come sono, nella loro natura transitoria e impermanente. Si affina  sempre più la consapevolezza attraverso l’osservazione della realtà stessa − è proprio questa la chiave della trasformazione che porta alla liberazione finale, ciò che rende le meditazioni di questo tipo così importanti.  

Il monaco Ajahn Chah insegna che samatha e vipassanā sono come il palmo e il dorso di una mano, inseparabili: quando è necessaria la calma, si praticherà la prima; quando la calma sarà presente si potrà praticare la seconda:  

«La concentrazione (samatha) e la saggezza (vipassanā) lavorano insieme. Prima la mente diviene tranquilla attenendosi a un oggetto di meditazione. È quieta solo mentre si sta seduti a occhi chiusi. Questo è samatha, e alla fine tale fondamento del samādhi è la causa del sorgere della saggezza o della vipassanā

Ajahn Chah, “Insegnamenti”, disponibile sul sito del Monastero Santacittarama

Il Satipatthāna Sutta 

Il Buddha ha parlato delle pratiche meditative in moltissimi sutta ma due di questi sono particolarmente importanti, dei veri e propri trattati sulle tecniche più utili. Il primo è il  Satipatthāna Sutta, DN 22, dove si elencano i Quattro Fondamenti della Consapevolezza.

Il sutta riporta numerose meditazioni di tipo vipassanā divise in quattro aree di contemplazione: 

  • Kāyānupassanā : il corpo e le sei basi dei sensi, ovvero  i cinque sensi fisici e le mente. 
  • Vedanānupassanā: il tono delle esperienze, le  sensazioni, vedanā, che sorgono al contatto dei sensi con gli oggetti.
  • Cittānupassanā: la mente, con i suoi stati come i pensieri, i ricordi, le emozioni, le coscienze sensoriali.
  • Dhammānupassanā: i dhamma, ovvero: gli impedimenti;  gli aggregati, anche detti “fenomeni”; i fenomeni correlati ai sensi; i Sette Fattori di Risveglio; le Quattro Nobili Verità.

Per ognuna di queste aree viene indicato l’oggetto della meditazione e fornite chiare istruzioni su come procedere con questa osservazione. Ad esempio, il Buddha insegna così la pratica per osservare le sensazioni: 

«Un monaco, quando prova una sensazione dolorosa, è consapevole di provare una sensazione dolorosa. Quando prova una sensazione piacevole, è consapevole di provare una sensazione piacevole. Quando prova una sensazione indifferente, è consapevole di provare una sensazione indifferente. […][Un monaco] rimane concentrato sul fenomeno del nascere delle sensazioni, o sul fenomeno del cessare delle sensazioni o sui fenomeni del nascere e cessare delle sensazioni. La sua consapevolezza che “esistono le sensazioni” viene mantenuta fino allo stato di più alta conoscenza e di piena attenzione. Egli rimane libero e nulla desidera al mondo.»

Mahāsatipaṭṭhāna sutta, I fondamenti della presenza mentale, DN 22  testo in italiano , testo in inglese e Pāli di Ajahn Sujato

 Il Beato insegna che le pratiche descritte in questo sutta sono sufficienti per raggiungere l’illuminazione, praticate non solo per lunghi periodi ma anche soltanto per una settimana, cosa che dipenderà dalle caratteristiche del meditatore e dell’intensità dell’impegno. 

Ānāpānassati sutta 

Una seconda fonte essenziale sulle pratiche meditative è l’Ānāpānassati sutta, l’Insegnamento sulla Consapevolezza del Respiro, dove  troviamo pratiche di entrambe i tipi, samatha e vipassanā

Sono sedici passaggi  successivi che compongono  un’unica grande pratica, ognuno di essi  basato sull’osservazione del respiro. Ripercorrono i quattro gruppi del Satipatthāna Sutta: corpo, sensazioni, mente, dhamma. 

Come esempio, leggiamo le istruzioni del Beato per il blocco di quattro passi relativi alle sensazioni:  

«[Il meditante] Si esercita così: ‘Inspirerò, sentendo gioia [pīti] ; espirerò, sentendo gioia. Si esercita così: ‘Inspirerò, sentendo piacere’ [sukha]; espirerò, sentendo piacere’. Si esercita così: ‘Inspirerò, sentendo l’energia della mente [cittasaṅkhāra]; espirerò, sentendo l’energia della mente’. Si esercita così: Inspirerò, calmando l’energia della mente; espirerò, calmando l’energia della mente’.», MN 118

Ānāpānassati sutta, La consapevolezza del respiro, MN 118, traduzione in italiano di Letizia Baglioni; in inglese e in Pāli di Ajahn Sujato

È un vero e proprio percorso in cui si sviluppa prima la calma, la gioia e la felicità, la serena tranquillità sulla cui base si può sviluppare l’osservazione profonda. È la pratica preferita per sé dal Buddha che considerava così importante da definirla “la casa dei Tathagata”. 

L’osservazione del respiro nel corpo, portando consapevolezza al respiro che entra ed esce,  è anche una pratica in sé, forse la più popolare tra tutte le meditazione buddhiste. 

Mettā Sutta

Non si può concludere senza citare la meditazione di gentilezza amorevole, di mettā. Anch’essa molto popolare, si basa  sull’augurio di stare bene, felici, in pace inviato a sé stessi, ai genitori, ai maestri, ai familiari, alle persone che ci sono neutre, fino ad arrivare alle persone con cui si hanno difficoltà e infine a tutti gli esseri, visibili e invisibili. 

Queste che abbiamo descritte sono le principali pratiche meditative della tradizione Theravāda,  condivise per la maggior parte anche dalle altre tradizioni, le quali  hanno sviluppato numerose altre meditazioni. 

Come praticare

Si può iniziare a meditare frequentando un monastero o un centro buddhista, o anche ascoltando delle meditazioni guidate disponibili su Internet. Anche una breve meditazione quotidiana può portare benefici incredibili, permettendoci di avere una mente più stabile, con la quale potremo essere più attenti a quello che accade nel nostro corpo, nella nostra mente e nel mondo. Inizieremo in questo modo il processo verso la saggezza, apriremo il cuore verso la gentilezza, la compassione, la gioia per i successi altrui fino a poter serenamente accettare sempre con un sorriso le cose che ci si presenteranno, belle o brutte che siano!

Referenze

Immagine del Buddha in meditazione: 3°-5° secolo, Pakistan, antica area del Gandhara. La faccia ovale, la fronte alta, gli occhi delicatamente a mandorla e le labbra piene e chiuse indicano una provenienza nella regione di Turfan vicino alla Cina nordoccidentale. Questo Buddha una volta decorava un muro o una nicchia in un monumento. Fonte: Metropolitan Museum of Art

Foto di copertina: Wang Junyi on Unsplash

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