Riflessioni di Dharma sui desideri

Ep. 90 Riflessioni di Dharma sui desideri

Riflessioni di Dharma sui desideri, sulle aspirazioni, sulla gioia della libertà dai condizionamenti e l'aver ottenuto la libertà

Queste Riflessioni di Dharma sui desideri continuano la meditazione sulle sensazioni e la mente che osserva, iniziando con un breve testo molto poetico del Vedanā Saṃyutta, la sezione del Samyutta Nikaya (sono i discorsi del Buddha collegati da un argomento), che rappresenta le sensazioni come il vento: 

In aria, monaci, vari tipi di venti soffiano: venti dall’est, dall’ovest, dal nord e dal sud, venti che portano polvere e venti senza polvere, venti caldi e freddi, deboli e forti. Similmente, monaci, così nascono in questo corpo i vari tipi di sensazione: piacevole, dolorosa e neutra.”

Come in aria diversi venti soffiano:
dall’est o dall’ovest, dal nord o dal sud
alcuni portano polvere, altri freddo ed altri caldo,
alcuni sono forti ed altri deboli – il loro soffio è diverso.
Così anche in questo corpo varie sensazioni sorgono:
Sensazioni piacevoli, dolorose e neutre.

Ma se un saggio è ardente e non trascura
la pratica della presenza mentale e della chiara conoscenza,
La natura di ogni volontà delle sensazioni egli capisce,

E avendoli penetrate, sarà libero e puro in questa vita.
Maturo nella conoscenza, attraverso il Dhamma.
Quando la sua vita finisce, il suo corpo si dissolve,
Ogni misura e concetto ha trasceso.

“Akasa Sutta – In Aria”, Samyutta Nikaya, 36.12

Queste riflessioni si possono anche ascoltare e vedere su YouTube:

Le sensazioni (vedanā), dandoci un tono, una coloritura, a ciò che percepiamo, è l’anello che può (e sottolineo: può, non necessariamente) portare alla brama (taṇhā)

Il termine “desiderio” è particolarmente a rischio di essere frainteso. Come spiega Ajahn Sucitto, nella lingua del Buddha ci sono due termini per esprimere la differenza dei desideri che inconsapevolmente ci obbligano ad agire e i desideri che ci lasciano la libertà di scelta:

è utile comprendere che il termine “desiderio” può essere tradotto in lingua pali con due diverse parole: tao chanda. Questi termini pali si riferiscono però a due situazioni differenti. Taletteralmente significa “sete”. Taè quindi un riflesso, un istinto: la necessità di appropriarsi e consumare. Il termine chanda, invece, ha un significato più ampio; io preferisco tradurlo con “motivazione”. Chanda può essere riferito sia agli appetiti sensoriali che all’interesse verso il Dharma. È l’esperienza di focalizzare le proprie intenzioni verso una determinata direzione. La differenza evidente tra chanda e taè che chanda non è un riflesso, non è un istinto e non è una pulsione: è una scelta. 

D’altronde il tema principale del Dhamma è proprio quello di operare scelte che possono minare alla base il potere degli istinti e delle pulsioni. 

Ajahn Sucitto, “La vera soddisfazione del desiderio, dal sito del monastero Santacittarama

Quello che fa la differenza è la presenza dell’ignoranza o della saggezza. Senza saggezza, i desideri ci spingono ad ottenere qualcosa, volendola o rifiutandola. I desideri sono una forza potente proprio perché sono così poco consapevoli, non fornendoci spunti per poter formulare una nostra scelta.

I desideri non consapevoli portano a sviluppare altri desideri non consapevoli; è questa la ragione per cui il Buddha chiamava la brama “Ta“, che letteralmente vuol dire “sete”. E’ una sete che non si placa, ogni desiderio che si avvera ci fa venire ancora più voglia di averne un altro: iniziamo volendo un biglietto per l’autobus, passiamo al motorino, a volere un’automobile e continuiamo così fino ad arrivare ad un’astronave e non essere contenti nemmeno di quella!

I desideri che sono “sete” sono costruiti sull’illusione dell’ignoranza, la non conoscenza della mente. Ci obbligano, ci rendono prigionieri anziché liberi. E’ per questo che dobbiamo sviluppare la consapevolezza, riconoscere i processi mentali e sviluppare la saggezza che va a “smontare” gli automatismi che sono parte del nostro corpo e della nostra mente, talvolta come istinti naturali, talvolta come abitudini che abbiamo acquisito durante la vita.

Il rischio del rifiuto dei desideri

Al tempo stesso non dobbiamo però pensare che la strada sia quella di reprimere tutti i desideri, di spengere la nostra vita in un indistinto grigiore.

Replica della capanna del Maestro Zen Ryokan, Gogo-an

C’è una storia Zen che esprime molto bene questo tipo di errata comprensione, in modo alquanto colorito.

In Cina c’era una vecchia che da oltre venti anni manteneva un monaco. Gli aveva costruito una piccola capanna e gli dava da mangiare mentre lui meditava. Un bel giorno si domandò quali progressi egli avesse fatti in tutto quel tempo.
Per scoprirlo, si fece aiutare da una ragazza piena di desiderio. «Va’ da lui e abbraccialo,» le disse «e poi domandagli di punto in bianco: “E adesso?”».

La ragazza andò dal monaco e senza tante storie cominciò ad accarezzarlo, domandandogli che cosa si proponesse di fare con lei. «Un vecchio albero cresce su una roccia fredda nel cuore dell’inverno» rispose il monaco non senza un certo lirismo. «Non c’è più calore in nessun luogo».

La ragazza andò a riferire alla ecchia quel che lui le aveva detto.


«E pensare che ho mantenuto quell’individuo per vent’anni!» proruppe la vecchia indignata. «Non ha dimostrato la minima considerazione per i tuoi bisogni, non si è nemmeno provato a capire la tua situazione. Non era necessario che rispondesse alla passione, ma avrebbe dovuto almeno dimostrare una certa pietà».
Andò senza indugio alla capanna del monaco vi appiccò il fuoco e la distrusse.

Presa da Facebook, senza fonte

Apparentemente il monaco si è comportato bene, ha rispettato i precetti, ha avuto un comportano consono alla sua posizione. Ma è un comportamento basato sull’avversione, non sulla libertà della saggezza. Si mettono i desideri sotto il tappeto e la fatica di quest’operazione di nascondere toglie vitalità alla vita. Il monaco ha preferito non osservare la bellezza della ragazza, la nascita del naturale desiderio sessuale e la sua estinzione grazie ad un corretto non agire.

Ha preferito invece distogliere lo sguardo da questo processo, diventando davvero un albero morente su una fredda roccia. In questo modo si rifiuta la vita, si rifiuta il nostro corpo e la mente, ci si adegua in modo stereotipato ad un modello che non si è davvero compreso.

La libertà dai desideri

Quanta differenza invece negli insegnamenti del Buddha! Più volte il Buddha ha parlato della felicità della pratica del Dharma. Anche in questi versi, dati in risposta ad un intervento di Mara, il Buddha indica che ci possiamo “nutrire di gioia” (in Pāli, Pītibhakkhā), facendo riferimento alla stessa gioia (pīti) che si prova nel primo livello degli stati di assorbimento meditativo:

“Deh, viviamo gioiosamente
Noi che nulla possediamo.
Godremo della gioia,
Come i deva raggianti.“

Dhammapada, verso 200, traduzione di Francesco Sferra, in “La rivelazione del Buddha, vol. 1”

E in modo splendido la monaca Sakulā, in dei versi ispirati della raccolta delle poesie delle monache, il Therigata, ci racconta la parte finale della sua vita nel Dharma:

Ho visto le mie esperienze come se non fossero mie,
nate da una causa, destinate a scomparire.
Mi sono sbarazzata di tutto ciò che fa male al cuore,
Sono a posto, libera.

Sakulā, Therigata  5.7 (101)

Sono versi così belli, il contatto con la mente che osserva, il riconoscimento dei processi della catena di produzione condizionata, la liberazione del cuore! La piena libertà!

Che questi versi della Bhikkhuni Sakulā ci siano di ispirazione nella nostra vita e nella pratica spirituale.

Riflessioni di Dharma sui desideri registrate nel gruppo di meditazione il 29 gennaio 2021.

Photo by billow926 on Unsplash

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