“Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te. (Da: John Donne, Meditazione XVII in “Devozioni per occasioni d’emergenza”)
Siamo tutti casse di risonanza dei dolori altrui perché siamo interconnessi. Essendo completi e contemporaneamente componenti di un insieme più vasto, possiamo cambiare il mondo cambiando semplicemente noi stessi. Se mi trasformo in un centro di amore e gentilezza in questo momento, forse, anche se in misura limitata ma non del tutto insignificante, ora il mondo può disporre di questo nucleo di cui era privo qualche istante prima. Questo arreca beneficio a me e agli altri.
Forse avete notato di non essere sempre un centro d’amore e gentilezza, persino nei vostri riguardi. Effettivamente, si può dire che la nostra società soffra di un’epidemia di scarsa autoconsiderazione. Nel 1990, durante i colloqui col Dalai Lama a un convegno tenutosi a Dharamsala, questi ebbe difficoltà a capire quando ne parlò uno psicologo occidentale; si dovette ripetutamente tradurre la frase in tibetano, benché abbia un’ottima conoscenza dell’inglese. Non riusciva proprio ad afferrare il concetto e quando infine lo capì, fu veramente rattristato apprendendo che in America molte persone nutrono profondi sentimenti di autodenigrazione e inadeguatezza.
Questo sarebbe praticamente inaudito fra i tibetani. Essi soffrono per i gravi problemi sociali che affliggono tutti i paesi del terzo mondo, ma la scarsa autoconsiderazione non è uno di questi. Chissà cosa accadrà alle future generazioni quando entreranno in contatto con il mondo che paradossalmente definiamo «evoluto». Forse siamo iper-sviluppati esteriormente e sottosviluppati interiormente. Forse, malgrado la nostra ricchezza, siamo noi a vivere in povertà.
Voi potete prendere iniziative per modificare questa povertà grazie alla pratica della meditazione con gentilezza amorevole. Come al solito occorre cominciare da voi stessi. Siete in grado di evocare sensazioni di gentilezza, accettazione e sollecitudine nel vostro cuore? Dovreste farlo ripetutamente, allo stesso modo in cui riportate la mente sulla respirazione con costanza nella meditazione assisa. La mente non si presterà con facilità perchè le vostre ferite sono profonde. Ma potreste tentare, per esperimento, a dedicarvi all’attenzione e all’accettazione per un certo periodo della vostra pratica, come farebbe una madre con il suo bambino dolorante o spaventato, rivolgendogli amore incondizionato e dedicandogli la propria totale disponibilità. Potete coltivare la comprensione verso voi stessi, se non per altri? Riuscite a sentirvi felici in questi momenti? Siete soddisfatti di sentirvi bene? In questi istanti è presente la base della felicità?
La pratica della gentilezza amorevole si svolge nel modo seguente, ma vi prego di non confondere le parole con la pratica. Come al solito esse sono semplicemente cartelli indicatori.
Iniziate a concentrarvi sulla posizione e sulla respirazione. Poi, dal cuore o dalle viscere evocate immagini o sentimenti di tenerezza e amore che si irradiano fino a colmare tutto il vostro essere. Lasciatevi cullare dalla sensazione di meritare gentilezza amorevole come qualsiasi bambino. Fate in modo che la vostra consapevolezza incorpori una benevola energia materna e paterna, fornendovi in questo momento riconoscimento e apprezzamento del vostro essere e una tenerezza di cui forse non avete goduto da bambini. Crogiolatevi in questa energia amorevole, espirandola e inspirandola come una necessità vitale trascurata, ma che infine vi dia il nutrimento a cui aspiravate.
Stimolate in voi stessi sensazioni di pace e accettazione. Alcuni trovano utile rivolgersi a intervalli frasi come: « Mi devo liberare dall’ignoranza, dalla grettezza e dall’odio. Non voglio soffrire, voglio essere felice». Parole pronunciate solo per far emergere sentimenti di gentilezza amorevole. Rappresentano un augurio – intenzioni espresse consapevolmente per essere liberi ora, almeno in questo momento, dai problemi che tanto spesso ci creiamo e accumuliamo attraverso le nostre paure e disattenzioni.
Dopo esservi trasformati in un centro di amore e gentilezza che si irradiano in tutto il vostro essere, il che significa immergersi in gentilezza amorevole e accettazione, potete rimanervi indefinitamente, bevendo a quella fonte, bagnandovi in essa, rinnovandovi, nutrendovi, vivificandovi. Questa può essere una pratica profondamente salubre, per il corpo e per l’anima.
Potete anche sviluppare ulteriormente questa pratica. Dopo aver stabilito un centro radiante dentro di voi, estrinsecate tutta la gentilezza amorevole nella direzione preferita; innanzitutto verso i componenti della vostra famiglia; se avete figli, manteneteli nell’occhio della mente e nel cuore, visualizzandone la personalità essenziale, augurando loro di non soffrire, di trovare la loro strada nel mondo, amore e accettazione nella vita. E, continuando così, includere un partner, la moglie, fratelli e sorelle, genitori…
Potete dirigere gentilezza amorevole verso i genitori, siano essi vivi o morti, facendo voti perché stiano bene, non si sentano isolati e non soffrano, onorandoli. Se ve ne sentite capaci e vi arreca sollievo liberatorio, trovate un posto nel vostro cuore per perdonare i loro limiti, le paure, le cattive azioni e sofferenze che possono avervi causato e ricordate le parole di Yeats: « Ma cosa avrebbe potuto fare lei, essendo quella che è? »
E non è necessario fermarsi qui. Potete rivolgere gentilezza amorevole a chiunque, a persone che conoscete e a sconosciuti. Potrebbe far bene anche a loro, ma certamente a voi, perché così affinerete e amplierete la vostra capacità emotiva. Questa evoluzione matura mentre manifestate volutamente gentilezza amorevole a persone con le quali vi trovate in difficoltà, che non vi piacciono o vi ripugnano, a coloro che vi minacciano o vi hanno offesi. Potete anche praticare questo atteggiamento verso interi gruppi di persone, verso chi è oppresso o soffre o è coinvolto in guerre, violenze e odio, ammettendo che non sono diversi da voi, che anche loro hanno persone che amano, speranze e aspirazioni, oltre ad avere necessità di una casa, di cibo e di pace. Estendetelo a tutto il pianeta, alle sue glorie e sofferenze silenziose, all’ambiente, ai torrenti, ai fiumi, all’aria, agli oceani, alle foreste, alle piante e agli animali, collettivamente e singolarmente.
In realtà non esistono limiti alla pratica della gentilezza amorevole sia nella meditazione sia nella vita quotidiana. In un costante riconoscimento d’interrelazione in espansione continua, è la sua personificazione. Se riuscite per un momento ad amare un albero, un fiore, un cane, un luogo, una persona o voi stessi, troverete tutta la gente, tutti i luoghi, tutte le sofferenze, tutta l’armonia in quell’unico istante. Praticare in questo modo non significa tentare di cambiare alcunché o di arrivare a un qualsiasi risultato, benché superficialmente possa sembrare cosi. Si tratta invece di scoprire ciò che é sempre presente. Amore e gentilezza sono sempre qui, da qualche parte, anzi dovunque. Solitamente la nostra capacità di avvicinarle, o esserne avvicinati è sepolta sotto le nostre paure e ferite, sotto la grettezza, l’odio e il nostro disperato attaccamento all’illusione di essere veramente separati e soli.
Evocando tali sentimenti nella nostra pratica urtiamo contro gli spigoli della nostra ignoranza, come nello yoga ci si scontra con la resistenza di muscoli, legamenti e tendini e con quella, presente in tutte le altre forme di meditazione, rappresentata dai limiti della nostra mente e del nostro cuore. Con questo sforzo, per quanto doloroso possa essere talvolta, ci espandiamo, cresciamo, cambiamo noi stessi e il mondo intero.”
Jon Kabat-Zinn