
Spesso tendiamo a dividere le pratiche meditative in comparti totalmente separati: c’è la pratica di calma concentrata, o samatha, che ci permette di calmare la mente ed accedere al samādhi, gli stati di concentrazione; c’è la pratica di visione profonda, o vipassanā, che ci permette di osservare i fenomeni e riconoscerli come impermanenti. In realtà non c’è una vera separazione tra le due pratiche, come insegnava Ajahn Chah sono come il palmo e il dorso di una mano, c’è sempre l’una e l’altra insieme.
La pratica di gentilezza amorevole, o mettā bhāvanā, è spesso considerata come “un’altra pratica ancora”. Ma come è possibile accedere alla calma concentrata senza accettare con gentilezza tutte le distrazioni, e come poter osservare tutti i pensieri disturbanti che possono sorgere nelle meditazioni di visione profonda. Possiamo così considerare questa meditazione la base di un cambio di atteggiamento che ci permette di vivere la pratica senza dover combattere.
Riflessioni registrate nel gruppo di meditazione il 25 settembre 2020.
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