Vi propongo un racconto che ho scritto per partecipare alla competizione di Minuti Contati di giugno 2019, dove è stato proposto un tema, “Un arrivo inaspettato” sulla cui base scrivere un racconto breve.
Questo racconto è dedicato alla grandissima poetessa Alda Merini, che ha passato molto tempo della sua vita in manicomio. “Le mura di Gerico” fanno riferimento alla sua poesia “La Terra Santa”, di cui potete ascoltare su YouTube la lettura che ne ha dato la poetessa:
Dietro le mura di Gerico
Sirimedho Stefano De Luca
«Alda, hai visto gli uccelli?»
«Solo uno, grande, volava intorno al Sole»
«Io dicevo quelli neri, sai che mi hanno mangiato gli occhi?», le disse Arturo fissandola ben bene per vedere che avesse capito.
«No, i miei non li hanno voluti, erano troppo giovani per loro.» Alda si aggrappò a lui per alzarsi da terra e andare su una panchina, lentamente. Le girava la testa, succedeva sempre dopo che gli infermieri le avevano dato le medicine, ma poteva anche essere bello prenderle, poteva viaggiare lontano: ieri era stata sdraiata a veder costruire le torri di Babele, oggi era un’asceta che girava nella città di Gerico, odorosa di incenso, cercando una porta che la aprisse al deserto ma trovando solo mura, mura altissime.
Qualcuno urlava, e per tornare agli incensi Alda dovette chiudere gli occhi, ritrovare quel sentiero sottile, da dove era facile cadere nell’inferno del manicomio, dove già era.
«Dài Alda, fatti abbracciare», diceva Antonio ridendo con i suoi occhi storti.
«Solo un attimo, che sto andando» ed Alda lo teneva tra le braccia, lasciandolo dopo un bacio leggero.
«Regina, non scappare», le urlava una ragazza dai capelli rossi e le mani giunte. Ma lei nemmeno si girava, ogni parola sarebbe stata fermarsi, sciogliersi nella terra, essere sepolta nel suo vestito bianco, che si sarebbe sporcato, si sarebbe strappato.
Che difficoltà riuscire a rimanere sola! Più difficile che volare sulle mura!
Ed infatti ecco arrivare un uomo, giovane ma provato, una barbetta ispida e la testa in un cappuccio ancora più ispido, un abito marrone che faceva prudere solo a guardarlo.
«Buonasera, signora» l’aspetto severo si aprì ad un sorriso gentilissimo.
«Amico mio, non me ne volere, ma stavo proprio cercando di star sola.»
«Lo vedo bene. Dimmi almeno il tuo nome.» «Sono Alda» «Alda e poi?» «Qui a tutti basta il nome. Ma una volta mi chiamavano Merini. Ma sembra che il mio nome ti faccia prudere la testa!»
L’uomo era pensieroso, si grattò ancora la testa sotto il cappuccio, indeciso se parlare o andar via: «Conosco i Merini, la stirpe dei puri e degli schietti. In effetti è così tu mi appari». Ormai deciso, le si avvicinò. «Sai, stavo in un bosco, ho sentito un odore di incenso e mi sono trovato qua, in questa città che non conosco.»
«Non sembri molto preoccupato.»
«Preoccupato di cosa? Ho tutto quello che mi serve: l’amore dell’Altissimo, Sorella Acqua per bere e Frate Vento per star bene in questa giornata calda. E ci sei tu, e le altre creature che vedo agitarsi là distanti.»
«Sembri un frate, ma poverissimo. E tu, come ti chiami?»
«Sono il fratello tuo, Francesco. E senza nome sono fratello di quest’albero, delle formiche che gli salgono lente verso il cielo, del Sole che ci illumina tutti.»
Alda lo vide socchiudere gli occhi, scaldarsi un attimo ad un raggio di luce sbucato da una nuvola, sorridere appena e riaprirli come se fossero appena nati, destinati a guardarla con gioia. Voleva ancora star sola, ma non poteva più lasciarlo, incuriosita, ammaliata, così lo prese per le mani e rise del suo stupore quando fece due passi di danza.
«Non balli mai con l’acqua e il vento?», il sorriso a scherzarlo, gli occhi a bere ogni suo gesto.
«Ogni momento, con le stelle, le foglie, con Sorella Morte. E ora ballo con te – sei brava, ti muovi col cuore, aprilo ancora per far cadere queste mura, Gerico non può resisterti!», e ballando si avvicinarono alle mura, senza toccarle, senza farsi fermare.
Ballavano e ballavano, sempre più veloci, finché Alda si appoggiò, spossata, ma col cuore felice, tutta accesa da quel sorriso del frate, senza confini, che già era andato via.
Negli occhi portava la sicurezza d’ogni cosa pura, nelle mani la morte e la vita. Calde, caldissime, Alda le posò sul muro, fece un respiro profondo ad arrivare al Sole, la sua voce risuonò altissima, tromba tra le trombe, e mentre il suo petto si allargava nella felicità più grande, le mura semplicemente caddero, crollarono, si aprirono alla vista di un deserto dolce.
Chi la vide, luminosa, la vide andare e danzare, le braccia aperte a bere tutta la luce che c’è.